[Story] Cervelli

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  1. ~ m i n a g i .
     
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    CERVELLI

    Breve, ma davvero breve, no sputo insomma, storia concepita dalla mia mente malata. Penso che il titolo faccia già pensare molto sull'argomento... boh, comunque eccola qui. Engioi mai darlings <3



    Cervelli. Cervelli. Cervelli.

    Dicono che in questi casi si smetta di pensare. Perchè non hai più una mente con cui farlo. Stai perdendo il corpo con cui agire. Quindi che senso ha pensare, se non puoi agire dopo?

    Cervelli. Cervelli. Cervelli.

    Eppure cos'è questa parola, se non un pensiero? Cos'è questa voglia smodata e morbosa, se non un sentimento, a una sua maniera? Mistero. E penso che non lo capirò mai.
    Dopotutto non so pensare. Non più.

    Cervelli. Cervelli. Cervelli.

    Perdo una scarpa. Era l'unica che mi era rimasta. Una Manolo Blahnik autentica. Non mi fermo a raccoglierla, ormai non me ne importa più niente. E non mi importa nemmeno dell'alluce che ci ho lasciato dentro, a quella scarpa. Non mi volto nemmeno a guardare. Non fa male. Non più.
    O forse fa male e non me ne accorgo.
    Alla fine è uguale.

    Cervelli. Cervelli. Cervelli.

    Cammino, e cammino, e cammino. Continuo a camminare. Sembra un pezzo di una favoletta della buonanotte. Se cose del genere possono far addormentare... mi preoccuperei per il bambino che le ascolta. Già, dormire. Quando è stata l'ultima volta che l'ho fatto? Non lo so. Ma neanche prima dormivo molto, anzi quasi niente. Caffè e bevande energetiche varie fanno miracoli. Con l'aggiunta di un po' di adrenalina, magari.
    Adesso non mi servono più, comunque. Forse è un bene, forse è un male.
    O forse non è cambiato assolutamente niente.
    Io non lo so. Dopotutto non so pensare. Non più.

    Cervelli. Cervelli. Cervelli.

    A ben pensarci (ah, l'ho detto, che controsenso) forse è cambiata solo la mia alimentazione. E okay, magari anche un po' il mio corpo. Forse proprio come conseguenza di quello che mangio.
    Non so a quanto tempo fa risalgono, ma ricordo. Ricordo qualcosa. Una scatola nera, piatta, addossata alla parete, schermo a cristalli liquidi. Poltrona. Un bicchierone di caffè targato... Strabucs, qualcosa del genere. Ricordo che non sbattevo quasi le palpebre. Sulle mie ginocchia era posato un vassoio di plastica con verdure e carne che sembravano fatti dello stesso materiale. Guardavo l'orologio sul mio polso. Mi alzavo bevendo quella tanica di caffè tutta d'un colpo, prendevo una cosa nera in pelle-credo una valigia-e uscivo per ficcarmi in lunghe lattine di metallo con un sacco di altra gente.
    Adesso invece cammino. Cammino e mangio.
    Non è che sia cambiato chissà che da prima.

    Cervelli. Cervelli. Cervelli.

    Ho detto che non mi ricordo l'ultima volta che ho dormito, ed è così. Però non mi pesa. Non ne sento nessun bisogno. Beh, come prima, del resto. Altro ricordo: la città illuminata. Notte fonda. La vedo sfrecciare davanti ai miei occhi in macchie confuse di luce pulsante. Sono dentro una cosa a motore gialla... un taxi, ecco, sì. Non mi veniva la parola. Un tizio con la barba e la chiacchiera facile sta guidando. Si vede che non aveva un passeggero da giorni. Io non gli rispondo, nonostante tutte le domande che mi fa, e tengo stretta la mia valigetta. Non sono proprio il migliore incontro che poteva fare, se voleva parlare un po'. Mando giù delle pillole rosse e bianche con un sorso di una bevanda in lattina che mi da subito una nuova scarica di energia. Scendo. Lo pago con dei fogli di carta verde con stampate su delle facce. Il taxi se ne va. Non mi fermo neanche un secondo, e mi dirigo correndo verso una meta che non riesco a ricordare. Ma ci vado di fretta, molto di fretta. Poi, altro ricordo: vedo un'altra scena uguale, solo il tassista cambia. E un'altra ancora. E un'altra, e un'altra, e un'altra.
    Nell'ultimo ricordo mi cadono gli occhiali in mezzo alla strada e quasi non me ne accorgo. Li raccatto di corsa, per poi continuare per la mia strada.
    Già, i miei occhiali. Quand'è che li ho persi?
    Non lo so.

    Cervelli. Cervelli. Cervelli.

    Forse ricordo queste cose perchè le facevo in continuazione. Ogni giorno. Ripetitive. Ogni giorno uguale all'altro. Sempre le stesse cose. Sempre la stessa solitudine. Ammesso che io sappia ancora che cos'è la solitudine.
    Ho perso anche la valigetta. Non so cosa ci fosse di tanto importante dentro. Però prima me la portavo sempre dietro, legata al mio polso sinistro con un cavetto d'acciaio. Non volevo rischiare di perderla, credo. Adesso non c'è più la valigetta. Non c'è più il cavetto. Non c'è più neanche il polso, a dirla tutta. Non mi serviva più. E non ne sento la mancanza.
    Mancanza. Cos'è che mi manca?
    Più che la mia vita, è cambiato quello che vedo attorno a me. La città pulsante di luce, diventata un cumulo buio di macerie, pieno di cadaveri. I cadaveri mi piacciono. Solo quelli con il cervello, però, e ormai non se ne trovano quasi più. I cadaveri senza il cervello si muovono troppo, per i miei gusti: e alcuni ho contribuito a crearli anch'io.
    Una volta le battevo poco, le palpebre. Adesso non le batto più.
    Credo di averle perse da qualche parte.

    Cervelli. Cervelli. Cervelli.

    Ieri ho mangiato la testa di un tizio.
    O forse era l'altro ieri? O addirittura oggi? Non lo so.
    I giorni passano, qualcosa me lo suggerisce, però se non lo sapessi direi che il tempo si è bloccato, a quando è successo tutto questo. Ho smesso anche di contarli, i giorni. Come se me ne importasse qualcosa. Non ho una mente da tenere occupata. Non più.
    Era uno dei pochi rimasti con un cervello ancora piantato nella testa. E si è ritrovato davanti me. Correva, correva, correva a perdifiato. Io camminavo. Dopotutto che fretta c'era? Infatti poi si è fermato, non so dopo quanto tempo: l'ho visto sdraiato per terra, esausto. O forse qualcosa di più di esausto: era disperato. E desiderava solo che a dargli la morte non fosse uno di noi. Ha preso dalla tasca qualcosa di grigio scuro, metallico, con uno di quei cosi... come si chiamano... ah, sì, grilletto. Se lo è puntato alla testa e dopo un forte rumore-che forse io non ho neanche sentito-l'ho visto cadere a terra, in una pozza di SANGUE, rosso, e le sue CERVELLA erano sparse su tutto il selciato del vicolo. Meglio così. Ho già perso troppi denti mordendo il duro cranio che contiene il mio pranzo.
    Sangue, cervella. Le uniche cose che mi fanno sentire di avere ancora vita dentro di me, dopotutto.
    Anche se parlare di vita è davvero troppo.
    Mi inginocchio, estraggo tutto quello che è rimasto dalla sua testa, ci immergo le mani a cucchiaio e comincio a mangiare. Il rosso mi sporca tutti i pochi vestiti che mi sono rimasti, aggiungendosi ai resti incrostati dei miei pranzi precedenti.

    Cervelli. Cervelli. Cervelli.

    Voglio morire. O forse no.
    Voglio uccidermi per sempre. O forse no.
    Voglio chiudere gli occhi. O forse no.

    Cervelli. Cervelli. Cervelli.

    Altro ricordo: una frase. Anzi, due parole.
    Sì, signore.
    Parole che adesso non significano più niente.
    Una cosa sola so. Una cosa sola sono capace di pensare.
    HO FAME.

    Cervelli. Cervelli. Cervelli.

     
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